martedì 10 dicembre 2013

L'avvenire di un'illusione- Sigmund Freud

Un blog di psicologia non può non passare dai pensieri di "Papà" Freud.
E non sarà questo il primo blog a farlo. Nonostante tutto, non vi farò un riassunto del "Interpretazione dei sogni" o del "Introduzione alla Psicoanalisi"(non in questo post per lo meno...), ma vi propongo un piccolo saggio intitolato "L'avvenire di un'illusione". Si tratta di una critica alla religione e una spiegazione psicologica di questo bisogno dell'uomo di praticarne qualche sua forma.


 Bisogna premettere che questo saggio è stato scritto dopo un altro celebre libro di Freud, Totem e tabù, in cui il medico austriaco aveva già analizzato dettagliatamente l'origine della religione, partendo dal totenismo e passando dall'animismo, alla magia, fino ad arrivare alle complesse forme religiose dei giorni nostri. 
Lo schema di pensiero di Freud in questo saggio è piuttosto semplice, ma efficace. Egli parte affermando che la natura profonda della civiltà ( cioè "tutto ciò per cui la vita umana si è elevata al di sopra delle condizioni animali e per cui essa si distingue dalle bestie") si basa sulla coercizione e sulla rinuncia della pulsione. L'uomo per sua natura è il primo nemico della civiltà poichè se si facesse guidare dalle proprie pulsioni (quali l'incesto, il cannibalismo e la voglia di uccidere) prenderebbe con la forza ciò che desidera senza tener conto degli altri esseri umani. Le coercizioni della civiltà vengono assimilate e interiorizzate in quella istanza psichica chiamata Super-Io; grazie a questa diventiamo esseri morali e sociali. Esistono, poi, altre privazioni che affliggono gli uomini, oltre quelle imposte dalla civiltà e dalla convivenza con gli altri individui; quelle legate al Destino, alla natura (cataclismi, pestilenze, morte). La strada per difendersi da queste privazioni, secondo il medico austriaco, sarebbe la religione.
"Similmente l'uomo non trasforma le forze della natura semplicemente in uomini con cui possa avere relazioni come i propri simili, [...], bensì dà loro il carattere del padre , ne fa degli dei..."
Gli dei, inoltre, avrebbero avuto il compito di compensare le mancanze e i danni della civiltà, di occuparsi della sofferenza e vigilare sulle norme civili
Freud sottolinea che con l'avvento delle religioni monoteiste si è "accentuato quel nucleo paterno che da sempre era rimasto nascosto dietro ogni figura divina". In altre parole, il bisogno di credere a delle divinità è un bisogno primordiale e infantile. Si tratta del rapporto del figlio con il padre: "lo si teme quindi non meno di quanto lo si desideri ardentemente e lo si ammiri". Le persone crescendono diventano consapevoli che rimarranno sotto alcuni aspetti come dei bambini, che non potranno mai fare a meno della protezione di potenze sconosciute contro le avversità della vita.
Per questa ragione, secondo il "Papà" della psicologia,  la religione è un'illusione, cioè qualcosa che deriva dai desideri umani, che non necessariamente è vera o falsa, e che rinuncia alla propria convalida.
Negli ultimi capitoli del libro Freud spiega che il suo intento non è quello di convertire all'ateismo i credenti, ma quello di dare una possibilità a quelle persone indecise se credere o no, promuovendo l'uso della ragione e del metodo scientifico.
Concludendo, il libro, nonostante sia critico verso la religione (specialmente quella cattolica), a mio avviso, può essere uno spunto a ragionare sulle ILLUSIONI che noi tutti ci costruiamo, illusioni che hanno sempre una matrice motivazionale. Chiedersi, infine, se queste illusioni siano per noi, importanti, adattativi e necessari.

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